La Direttiva SUP è nota per aver imposto il divieto di commercializzazione di piatti, posate e altri prodotti destinati al contatto con alimenti quali cannucce e agitatori per bevande monouso in plastica. Tuttavia sugli scaffali di mercati e supermercati continuano a proliferare i cosiddetti “pseudo-riutilizzabili”: prodotti monouso realizzati in plastica tradizionale che sono vietati dalle norme ma che invece continuano a essere commercializzati semplicemente perché autodichiarati come “riutilizzabili”.
Dopo le stoviglie la situazione si sta riscontrando anche per altri prodotti vietati dalla direttiva SUP, come nel caso delle cannucce e delle palette per caffè.
Nel mese di novembre 2024 la vicenda ha avuto ampio risalto su diverse testate:
Plastica monouso, che cosa sono i falsi riutilizzabili – dal il Sole 24 Ore del 01.11.2024
I falsi riutilizzabili sono patti, bicchieri, posate in plastica che vengono presentati come adatti a essere usati più volte ma in realtà spesso vengono buttati dopo il primo utilizzo. Fanno capolino sugli scaffali dei supermercati, nella corsia dedicata a stoviglie e accessori per le feste: prodotti tradizionalmente monouso. Da qui dunque la confusione.
La Sup (single plastic use), la direttiva europea entrata in vigore nel 2019, ha bandito cannucce, aste per palloncini, posate, ma anche piatti e contenitori monouso in plastica. Ha invece ammesso i prodotti biodegradabili e compostabili, promuovendo l’arrivo sul mercato di piatti, bicchieri e forchette in bioplastica certificata. Effettivamente è vasta l’offerta di questo tipo di pezzi nella grande distribuzione, con tanto di certificazioni stampate sulle etichette e l’indicazione chiara di smaltimento nella raccolta dell’umido. Sono presenti però anche prodotti definiti «riutilizzabili» con la scritta «reusable» impressa sulla superficie, la segnalazione «testati per almeno 20 lavaggi in lavastoviglie» e le istruzioni per la destinazione del rifiuto: raccolta della plastica. Il prodotto dovrebbe essere più spesso, più resistente, più pesante. Ma se l’uso è uno solo, tecnicamente è un ritorno del monouso in plastica.
Per gli operatori del settore, il decreto legislativo 196/2021 con cui l’Italia ha recepito la Sup non ha dato una definizione di «riutilizzabile», creando una zona grigia in cui è ricomparso il monouso. Nemmeno il recente Ppwr (regolamento europeo sugli imballaggi) ha portato chiarezza su questo punto. La richiesta è quindi quella di maggiori controlli e di una definizione condivisa di che cosa sia effettivamente riutilizzabile o no, lavorando su pesi e dimensioni.
Spesso il falso riutilizzabile è più economico rispetto a prodotti omologhi in bioplastica certificata. Dal bando della plastica monouso le aziende della filiera italiana hanno infatti fatto investimenti importanti avviando la conversione della produzione, con un prodotto finale più costoso.
Sull’ultimo rapporto sulla filiera italiana delle bioplastiche compostabili, promosso da Assobioplastiche, Biorepack e Cic, e stilato da Plastic Consult, si legge che il fatturato del settore, dopo il record 2022 (1,16 miliardi di euro), è sceso a 828 milioni (-29,1%), sull’onda della forte flessione registrata dai listini, mentre i volumi complessivi dei manufatti prodotti hanno toccato le 120.900 tonnellate (-5,5% sul 2022), con le maggiori difficoltà incontrate proprio dal comparto monouso che ha registrato un calo del 20%. Se la produzione totale è passata dalle 3mila tonnellate del 2018 alle 24-25mila nel 2022, nel 2023 è scesa sotto le 20mila e il trend per il 2024 si conferma in riduzione, con una contrazione media del 10-15%.
Le aziende italiane hanno avvertito nel 2023 il ritorno pesante sul mercato di prodotti in plastica tradizionale, definiti riutilizzabili anche se magari non progettati per esserlo e con prezzi più bassi. Una concorrenza che viene percepita come sleale, a cui si aggiunge l’aumento delle importazioni di manufatti compostabili dal Far East, come piatti in polpa di cellulosa che fanno sorgere dubbi anche sulla sicurezza nel contatto con alimenti, raccontano gli operatori. Un tavolo di lavoro sul tema è in via di definizione al ministero dell’Ambiente.
C’è un buco nella cannuccia – da Venerdì di Repubblica del 08.11.2024
UN’AMBIGUITÀ NELLA LEGGE ITALIANA HA PERMESSO DI AGGIRARE IL DIVIETO UE SULLA VENDITA DI PRODOTTI NON COMPOSTABILI E POCO CONTROLLATI. CON EFFETTI DRAMMATICI SU CHI, VIRTUOSAMENTE, PRODUCE LA BIOPLASTICA
di Roberto Giovannini
QUASI nessuno lo sa, ma in Italia vengono vendute milioni di cannucce di plastica tradizionale illegali. Il trucco per farle diventare “legali” è autocertificare che potrebbero essere lavate e riutilizzate, anche se nessuno, ma proprio nessuno lo farà. Rubando mercato e opportunità ai produttori virtuosi, che hanno investito nella produzione di prodotti di bioplastica, smaltiti nell’organico e attraverso un processo industriale trasformati in fertilizzanti o in biogas. Il problema è serissimo.
Lo scorso giugno il rapporto annuale di Assobioplastiche ha evidenziato come nel 2023 l’industria della bioplastica compostabile abbia perso il 29,1 per cento del fatturato e il 5,5 per cento della produzione. Illegalità e concorrenza sleale stanno azzoppando la filiera e lo dimositra la storia di Daniel Lombardo, meranese di 36 anni, fondatore nel 2018 di Bio Evolution Italia. Un’azienda con una ventina di dipendenti che producono 350 milioni di cannucce compostabili, utilizzate dai bar per i cocktail, nel Café Zero di Algida e nei tè freddi SanThè Sant’Anna. Gli affari sono andati bene fino a quando qualcuno si è accorto di un “buco” nella normativa italiana (il decreto 196/21) che ha recepito la direttiva Ue del 2019. L’Europa ha bandito la plastica monouso per alimenti, ma in Italia basta un’autodichiarazione per fare tornare tutto legale Q in quanto “lavabile” e “riutilizzabile”. Ovviamente nessuno ha mai pensato di lavare le cannucce a mano o tantomeno in lavastoviglie. Spiega Lombardo: «I clienti ridono, e ci dicono che le prendono di plastica anziché bioplastica perché costano il 30 per cento in meno. Una busta da cento delle nostre costa 2 euro, le loro da 1,20 a 1,50».
È un imbroglio al cubo: il vero costo industriale delle cannucce di plastica è cinque volte inferiore al prezzo di quelle di bioplastica. Facile immaginare i margini pazzeschi di chi produce (quasi sempre in Cina, senza reali controlli) i prodotti falsamente lavabili, immessi in Italia anche da grandi catene. Facile immaginare il danno per l’ambiente e la cultura ambientale dei consumatori, per un prodotto che ha una vita di circa venti minuti. L’imbroglio ha penalizzato Bio Evolution: «Nel 2024», dice l’imprenditore, «abbiamo perduto almeno il 20 per cento del fatturato»
Le palette che nessuno riusa: così la pausa caffè diventa “fuorilegge” – da Eco dalle Città del 27.11.2024
Una ricognizione di Eco dalle Città nel mondo dei distributori automatici, fa emergere il mancato rispetto della normativa Sup per ciò che concerne le palette del caffè, bandite dalla Direttiva in quanto monouso. Tuttavia se prendiamo un caffè alla macchinetta noteremo che le palette fornite sono del tutto simili a quelle pre-Sup o, in alcuni casi, con una dicitura “REUSE” stampata sopra. Il che significa che sarebbero certificate come riutilizzabili, quindi “in regola” con la Direttiva, ma il riutilizzo di fatto non avviene