Il testo dell’intervento del presidente di Assobioplastiche, Luca Bianconi, pubblicato sulle pagine del Corriere della Sera (ed. Torino) in data 18 agosto 2025
Le parole sono pietre. E possono inviare messaggi scorretti. Soprattutto se chi le ascolta, non è preparato a comprenderne il loro reale significato. Prendiamo il caso del termine “biodegradabile”: è una preziosa caratteristica di alcuni materiali, ma troppo spesso c’è chi associa ad esso la libertà di disperdere impunemente un rifiuto nel suolo o in acqua invece di conferirlo correttamente. Gli addetti ai lavori sanno bene che la realtà è assai diversa: nessun materiale ideato dall’uomo è stato concepito per poter essere disperso senza controllo.
Quanto questo errore sia diffuso lo dimostra il fatto che anche a livello accademico si finisce per sdoganare il parallelo tra biodegradabilità e dispersione incontrollata. Ne è un esempio il commento (“Biodegradabile non sempre significa che sparirà ”), ospitato nei giorni scorsi su questo giornale.
Nell’articolo si criticano materiali innovativi come le bioplastiche, perché, appunto, non in grado di degradare se disperse nell’ambiente. Ma così si continua a trasmettere un’informazione sbagliata. Lo stesso potrebbe infatti dirsi del vetro, della carta, di ogni tipo di metallo o, addirittura, di un rifiuto organico come una buccia di banana. Inoltre, una simile affermazione fa perdere di vista gli innegabili vantaggi ambientali, prima ancora che economici, garantiti dalla diffusione di questi materiali, figli del promettente settore della bioeconomia circolare.
Basta qualche dato per comprenderlo. Soffermiamoci ad esempio sulle bioplastiche compostabili che, prodotte rispettando i rigidi standard previsti dalla certificazione europea EN 13432, sono in grado di trasformarsi in compost, se conferite all’interno di impianti di trattamento. La loro diffusione, ad esempio sotto forma di sacchetti per la spesa e l’ortofrutta, ha avuto l’indubbio merito di aver agevolato i cittadini nella raccolta dell’umido, che rappresenta quasi il 40% di tutti i rifiuti domestici. L’Italia, caso unico in Europa, è così arrivata a trattare ogni anno 5 milioni di tonnellate di frazione umida, grazie a 150 impianti di riciclo distribuiti in tutte le regioni. Ciò ha permesso di produrre 2 milioni di tonnellate di compost e di riportare nei terreni agricoli 440mila tonnellate di carbonio.
Attorno alle bioplastiche si è sviluppato un comparto industriale innovativo, del quale il nostro Paese è leader continentale, che conta quasi 280 aziende, per 700 milioni di fatturato e 3000 addetti. Grazie a una normativa lungimirante, l’Italia si è poi dotata del primo consorzio al mondo (Biorepack) dedicato alla gestione del fine vita degli imballaggi compostabili. In 3 anni di attività , sono già stati superati gli obiettivi di riciclo previsti per il 2030.
Migliorare ulteriormente i risultati è un traguardo realistico. L’impegno a fare buona informazione sul tema, senza banalizzazioni ma diffondendo i giusti concetti ai cittadini, è il prerequisito per riuscirci. Ne trarrebbe giovamento l’intero sistema Paese.